Simone Nebbia si racconta a DU30

Simone Nebbia

 

Una formazione letteraria, una passione per il teatro nata per caso e diventata ragione di vita, il desiderio di una redazione concreta in anni di giornalismo on line, praticato da free lance in autonomia e solitudine. Simone Nebbia, fondatore e direttore di  Teatro e Critica ha incontrato la Giuria Critica e Popolare di Direction Under 30 alla Biblioteca di Guastalla il 24 luglio.

 

Come è nata la tua passione per il teatro?

“Undici anni fa mi trovavo a in una villa fuori Roma per seguire un festival di musica, cinema, arti performative e passeggiando notai un palchetto da cui un ragazzo raccontava dei rastrellamenti durante la seconda guerra mondiale. Quella narrazione mi affascinò tanto e rimasi ad ascoltarlo. Quando scese dal palco mi fermai a parlare con lui. Quell’uomo era Ascanio Celestini. Tornai a casa e sentì che dovevo lasciare traccia di ciò che avevo visto, scrissi così la mia prima “proto-recensione” teatrale, scoprendo una immediatezza nel rapporto tra visione dell’opera e restituzione delle impressioni della fruizione. Nel mondo della letteratura e del cinema tutto ciò avviene con tempi molto più lunghi.

E così sei diventato un critico?

Non ero un critico, andavo a teatro e raccontavo quello che vedevo. Mi sentivo prestato al teatro, all’epoca studiavo letteratura alla Sapienza di Roma. Nel 2005/2006 trovai un sito che dava 2 biglietti gratis in cambio di una recensione, ed ho iniziato a scrivere con assiduità, frequentando l’ambiente teatrale. Successivamente il  teatro è diventato una malattia, il mio lavoro una missione.  C’è stato un passaggio che mi ha fatto diventare nucleo della comunità teatrale, ma l’approccio critico dovrebbe appartenere a tutti gli spettatori, la differenza è che lo sguardo di un critico va al servizio della comunità, se questa lo riconosce come punto di riferimento.

In che modo la comunità ti ha riconosciuto questo ruolo?

In quegli anni ero entrato in contatto con un sito di riferimento, teatroteatro.it,  e nel frattempo questo mestiere si solidificava, eppure mi sentivo a disagio perché stavo diventando un critico ma sentivo la mancanza di una vita redazionale.  La mia generazione di giornalisti free lance non ha vissuto in redazione e non ha quindi  imparato il mestiere da altri, ciò  ha impedito un passaggio di strumenti e di consegne necessario. Roma non aveva un luogo di riferimento, esistevano tante realtà on line ma nessuno che si prendesse la responsabilità di mettere su una redazione. Io e Andrea Pocosgnich  abbiamo iniziato ad incontrarci a teatro, scambiandoci gli strumenti interpretativi ed avendo l’esigenza comune di una redazione concreta, fatta di contatti umani abbiamo fondato Teatro e critica http://www.teatroecritica.net/ Poco dopo sposando la nostra causa si è aggiunto Sergio Lo Gatto, e dopo alcuni anni abbiamo cercato di ampliare la redazione con tenendo dei laboratori di critica teatrale all’Università La Sapienza di Roma.

Chi sono stati i tuoi maestri?

Mancando la possibilità di una vita redazionale, ho avuto una formazione da autodidatta, ma ci sono dei giornalisti che considero dei punti di riferimento importantissimi: Attilio Scarpellini, Franco Cordelli. In particolare, da Scarpellini ho imparato che il nostro lavoro è capire quanto della realtà contemporanea c’è all’interno del teatro. Per elaborare una scrittura originale ho iniziato a scrivere dei diari prendendo spunto dal giornalista sportivo Hunter Stockton Thompson, raccontava partite di baseball  attraverso lo sguardo di ciò che succedeva intorno, in una forma letteraria originale  a metà tra cronaca e narrazione.

 

Un’esperienza da critico che non dimenticherai mai?

Ho un nodo non risolto nell’ esperienza di spettatore con Sul concetto di volto nel Figlio di Dio di Romeo Castellucci. Quando lo vidi la prima volta ne ebbi una pessima impressione. Poi, lasciando decantare la visione per diversi giorni (dovevo scriverne per il trimestrale Hystrio) mi resi conto di avere amato tanto lo spettacolo. Scrivendo si acquisisce una consapevolezza maggiore della propria responsabilità di spettatore, si raggiunge una  coscienza della visione differente.

Pregi e difetti del web.

Il web non è stata una scelta ma una necessità, per i giornali non avrei mai scritto e dopo l’esperienza in rete si diventa troppo ingombranti per il cartaceo, si acquisisce un’autorevolezza che mina la loro. Come generazione abbiamo rivendicato il web come unico luogo possibile di azione e abbiamo iniziato a capire che aveva delle potenzialità, legate alla possibilità di replicare il contenuto, cosa che con i social si è amplificata. Difetti: sicuramente aver lasciato libero accesso a tutti permette a chiunque di improvvisarsi critico.