Dove le voci schiantano
Aspetto qualche secondo di essere ammesso alla riunione. Da qualche parte, un click restituisce un impulso elettrico che conferisce il permesso al mio portatile, per essere poi tradotto nelle mie cuffie in un suono di approvazione. Seguono frammenti scomposti di “ciao” da diverse voci. Compare il mosaico di volti, a loro volta mosaici di pixel mescolati. I contorni delle facce diventano sempre più nitidi fino a mostrare sorrisi riconoscibili. I computer comunicano dati a velocità progressiva; più riconoscono la connessione come stabile, più accelerano lo scambio.
Ognuno dal proprio soggiorno, camera, studio o cucina scuote la mano davanti alla webcam per salutare, più a lungo del necessario. Lo troviamo divertente. Per la prima volta guardo dentro alle case di alcune persone che conosco da anni. Ci entrerò per qualche ora e lo farò in intimità, ma guardando un po’ loro e un po’ alle loro spalle. Proprio per intimità, fingerò che ciò che gli compare dietro non sia stata una scelta. Una parete bianca spoglia o con centinaia di foto appese; in solitaria o con un’altra persona nell’inquadratura; con le luci accese o nel barlume di una lampada da scrivania. Nel mio riquadro vedo dietro di me un armadio bianco. Chissà se qualcuno si è chiesto cosa ci sia in quelle ante.
Tra i “come va” e le battute di rito sui colori delle regioni, una di noi si blocca mentre parla. Poi nuovamente: voce spezzata, mosaico di pixel, e alla fine torna nitido. Ai computer serve del tempo per capire quanto la connessione è davvero stabile, quanto si possa accelerare in sicurezza, quale sia la giusta velocità.
Quando ricompare, sta parlando di argomenti diversi da quelli a cui eravamo rimasti. Lo troviamo divertente. Le chiediamo di ripetere, spiegando dove siamo stati interrotti.
Dopo un po’ di discussione e di scambi concitati, tre di noi provano a dire qualcosa nello stesso momento. Da qualche parte al di là della pianura, dei monti che la confinano, e dei mari che confinano i monti, in un sotterraneo climatizzato, in un server tra tanti, su una scheda in silicio le voci si collezionano, si mescolano, e ritornano a noi incomprensibili.
Silenzio.
Qualche “vai” a mezza voce.
Dei cenni col capo e qualche gesto con le mani.
La comunicazione lentamente riprende.
Anche nel digitale il corpo può comunicare quello che le voci schiantano. Acceleriamo in sicurezza. Troveremo la giusta velocità. Servirà del tempo. Ma stiamo diventando bravi.
Riccardo Marin