Recensione: “Attenti al LooP. Anatomia di una fiaba”
Le fiabe entrano nella narrazione popolare spesso attraverso tempi imperscrutabili. Difficile ricostruire la loro esatta origine, così come la loro evoluzione nei secoli e tra le culture. In questa coltre, sono infiniti gli studi, le analisi e le critiche che hanno tentato di analizzare il nucleo fondamentale, così come innumerevoli sono le sintesi ad opera di riscritture anche moderne nel tentativo di attualizzarne i temi. Questo lavoro di destrutturazione e ricostruzione è proprio ciò che vediamo in scena in Attenti al Loop (termine quest’ultimo che può significare “ciclo” ma, curiosamente, anche “cappio”) della compagnia Sclapaduris.
Come in un quadro di Rembrandt, veniamo portati in un teatro anatomico in cui cinque medici si avvicendano sul medesimo paziente: la fiaba di Cappuccetto Rosso, e in particolare sulla versione contemporanea di Joël Pommerat. Ci troveremo davanti a personaggi profondi, a dinamiche emotive e familiari (una madre che non ha mai tempo, una nonna stanca e spenta, una bambina annoiata che deve badare a se stessa), che agli affezionati delle versioni più tradizionali potrebbero sembrare intrusioni ma che parlano (e con efficacia) alla contemporaneità.
Durante lo spettacolo, i medici ripercorrono tutti gli elementi della storia, dandosi e scambiandosi i ruoli per osservare l’oggetto della loro analisi da ogni punto di vista. Nessun elemento deve essere considerato come definitivo: dalla formula del “C’era una volta”, fino alle intenzioni e i ragionamenti dei singoli personaggi.
Gli strumenti a disposizione per questa operazione sono i più vari: dal teatro ad oggetti a tratti comico, fino a giochi di ombre cupe e minacciose; da dialoghi corali ed assurdi, fino a monologhi lucidi ed emotivi.
Un ritmo sostenuto da fisicità mutevoli che sotto le tuniche nere hanno spazio di trasformarsi, versatili alle necessità dell’operazione. Si passa dai momenti di discussione e di dibattito tra i medici, in cui la recitazione diventa concitata e con un fraseggio a tratti serrato e incalzante, ai momenti in cui gli stessi sono chiamati a impersonare i personaggi della fiaba, dove l’interpretazione diventa più astratta ed evocativa, centrata sul trasmettere sensazioni più che a ripercorrere azioni concrete.
Con l’arrivo del cacciatore e la salvezza della nonna e della bambina il circuito sembra chiudersi con successo su tutti i piani: l’incisione che sventra il lupo accomuna la fiaba con l’analisi, e i punti di vista sembrano tutti convergere verso un’interpretazione pacificatrice. Ma chi resta fuori è l’unico diverso, il lupo: uno dei medici ne prende quindi il ruolo, dandogli voce nel teatro anatomico in cui rimane solo, finalmente libero dalle ingombranti necessità degli altri personaggi. L’animale riporta il processo al principio con una versione nuova dei fatti (attingendo questa volta da un testo di provenienza incerta) e l’operazione deve tornare al punto di partenza.
Ritenere questo spettacolo una delle tante rappresentazioni di Cappuccetto rosso sarebbe riduttivo. Sebbene i punti di vista proposti potrebbero risultare non particolarmente innovativi, il contributo del lavoro sta nel mettere in scena il processo di analisi, reso vivace da una costruzione ben ricercata e che si sostiene su capacità tecniche capaci di immagini vive e magnetiche. D’altro canto, la modalità di insuccesso dell’operazione chirurgica lascia nel finale una sensazione di incompletezza: le posizioni sono definitivamente inconciliabili? È la fiaba come oggetto narrativo ad essere indissipabile, o l’operazione fallirebbe comunque? E, soprattutto, questo evocativo elemento del loop (in cui io stesso mi ritrovo, nel compiere l’analisi di un’analisi) a quale sintesi artistica conduce lo spettatore, immerso nelle molteplici suggestioni e interpretazioni possibili?
Rimane che uno spettacolo così articolato, costruito nelle contingenze dell’ultimo anno e mezzo, e opera di una compagnia i cui giovani componenti sono disseminati in quattro diverse regioni è diretta conseguenza di un affiatamento e un metodo di lavoro che speriamo presto possa trovare ulteriori palchi su cui rodarsi.
Riccardo Marin
Visto al Teatro Sociale di Gualtieri il 23.07.2021