IO, MAI NIENTE CON NESSUNO AVEVO FATTO DI VUCCIRìA TEATRO
Otto punti di vista under 30:
«I” non è una storia d’amore, né la vicenda privata di un giovane ragazzo gay che contrae l’AIDS, né un canto di dolore per la morte. Tutti questi aspetti non sono che alcuni degli elementi di corredo, e ancora molti altri se ne potrebbero trovare per completare il senso profondo dello spettacolo, interamente basato sull’opposizione. A partire dalla recitazione degli interpreti, sono evidenti il contrappunto tra l’ingenuità e l’innocenza di Giovanni e la maturità opportunista e vuota di sua sorella e di Giuseppe; o il contrasto tra ciò che ogni personaggio sente di essere e come la società giudica quell’apparenza – da una diversa sensibilità un frocio, da una principessa di Sicilia una stracciona. Ma a risaltare maggiormente è la crudele dicotomia tra l’ineluttabile conclusione tragica della novella messa in scena e le emozioni totalizzanti che vi si esprimono, in grado di sopravvivere perfino alla conclusione della finzione teatrale.»
Giulio Bellotto, giovane critico, 21 anni, Milano
«I temi scelti da Vuccìria Teatro per la drammaturgia non sono, in effetti, dei più innovativi – omosessualità, omofobia, violenza e AIDS – e la messa in scena sembra molto debitrice del teatro fisico e dialettale di Emma Dante. Eppure, la giovane compagnia riesce a stupire, trattando questi argomenti con una delicatezza encomiabile, commuovendo e catturando lo spettatore. In realtà non c’è un dialogo tra i personaggi; sono tre monologhi che sì, si intrecciano e si compenetrano, ma alla fine non si toccano, quasi a sottolineare la solitudine di questi personaggi in una Sicilia viscerale, arcaica, ma di cuore.»
Alessia Calzolari, giovane critica, 28 anni, Milano
«Giovanni è una vittima sacrificale. Giovanni è un puro gettato in un mondo claustrofobico di privazioni e imposizioni. Giovanni crede di scegliere ed è sempre scelto. Giovanni non capisce davvero, e questa è la sua salvezza, la sua condanna. Il suo spazio è unico e isolato ma si incontra inevitabilmente con quello di due cugini: una amata e materna e l’altro fiero e impaurito. Ognuno è portatore di una sofferenza, ognuno ne è investito senza riuscire a definirla, perché questo genererebbe ancora dolore. Ognuno scappa da sé. Giovanni è l’unico a restare, chiama la sua omosessualità per nome e affronta l’Aids senza sapere di cosa si tratti. Ma nessuna purezza sopravvive nel labirinto dove si ritrova a ballare. Quella rappresentata dai Vuccirìa è una fuga impossibile dalla realtà. Sul palco prende forma un’umanità che non può essere contenuta, che irrompe sulla scena e si fa storia, emozione e materia della rappresentazione. La sofferenza fluisce come lava, lascia solchi senza detriti, dando corpo alla trama di interiorità che non potranno avere riscatto, toccate dall’amore e poi abbandonate violentemente.»
Stefano Cangiano, giovane critico, 26 anni, Napoli
«Io, mai niente con nessuno avevo fatto è una parabola amara dell’impatto della brutalità sugli animi puri. Il luogo è una Sicilia culturalmente e socialmente avulsa, che diventa luogo archetipico dello svolgersi crudo degli istinti e degli affetti; il tempo sono gli anni ottanta, del cui portato fanno parte, ancora acerbi, la scoperta dell’AIDS e un certo modo di pensare l’omosessualità. In scena tre personalità si intrecciano senza mai guardarsi, e riversano sul pubblico, attraverso una forte fisicità, un flusso impetuoso di emozioni; la tragicità e la definizione psicologica ricordano una novella di Verga. Uno spettacolo più di sempre che di domani, molto efficace nella prova attoriale.»
Anna Cingi, giovane critica, 22 anni, Reggio Emilia
«Una storia sulla Sicilia degli anni ’80, una storia di omosessualità, violenza sulle donne, pregiudizi e ipocrisie, Io, mai niente con nessuno avevo fatto è tutto questo e niente di tutto ciò, perché Giovanni è l’amore, la purezza e l’entusiasmo verso la vita e rende tutto questo dolore ancora più ingiusto e bruciante sia per Rosaria e Giuseppe sia per noi che assistiamo con fiato sospeso a questa storia vera di ieri e purtroppo di oggi. Una fisicità quella degli attori che emoziona fino alle lacrime ed un’onestà recitativa che riempie il cuore.»
Chiara Girardi, giovane critica, 23 anni, Roma
«Omosessualità, violenza domestica, omofobia, AIDS: un coacervo di temi cosiddetti “forti” si articolano su un fondale nudo e scabro, in cui una narrazione a tre altamente patetica evoca l’ormai acclarato stereotipo di una Sicilia ancestrale e barbara, in cui bellezza e tragedia convivono in una dimensione atemporale. Lo spettacolo dei Vucciria regge eccome: gli interpreti sono molto bravi, il dialetto e l’enfasi tematica risveglia la reazione emozionale del pubblico, la scrittura è accattivante e la scena di luci ed ombre pure. Ma il debito verso modelli forse non del tutto digeriti e assimilati – Emma Dante, su tutti – rileva un ripiegamento su modelli linguistici e formali già noti. Nonostante la godibilità del risultato finale, la tentazione del semplicismo aleggia, tematicamente e formalmente.»
Giulia Morelli, giovane critica, 28 anni, Parma
«Benché la drammaturgia non ecceda in originalità, questo lavoro mostra una buona cifra attoriale e nel complesso riesce a pungolare l’emotività. Immersi nella temporalità spalmata di un meridione ancestrale, inteso più come orizzonte immaginifico che come categoria spaziale, le dinamiche sociali sottese all’esistenza di un omosessuale in provincia vengono intensamente mostrate in tutta la loro contraddittoria brutalità.»
Giulia Muroni, giovane critica, 23 anni, Cagliari