Homologia | Intervista DU30
Ha ricevuto la segnalazione speciale Premio Scenario 2015.
Homologia è lo spettacolo presentato al Festival Direction Under 30 2016 dalla compagnia DispensaBarzotti creato da Rocco Manfredi, Riccardo Reina e Alessandra Ventrella.
Li abbiamo incontrati al Teatro Sociale di Gualtieri per parlare del loro magico lavoro teatrale.
Come nasce Homologia?
Homologia nasce da uno studio che nel 2008 l’antropologo inglese Daniel Miller ha pubblicato uno studio dal titolo: “ Cose che parlano di noi. Un antropologo a casa nostra”. Per quasi due anni è entrato in dodici case di una via di Londra per capire qual è il volto dell’umanità dei giorni nostri. Il risultato è un libro che spiega come gli uomini e le donne di quel luogo preciso della capitale inglese si esprimono attraverso gli oggetti da loro posseduti. Si tratta di una ricerca mirata a comprendere la loro relazione con oggetti di uso comune e i relativi ruoli che rivestono nello scambio tra le persone. Dodici ritratti di esseri umani, come quella di George dal titolo Vuoto. George è un uomo anziano che abita in una casa quasi vuota, scarna nell’arredamento, povera per essere stata abitata da un uomo da tutta la sua vita.
Vuoto nel senso che fisicamente l’uomo non aveva un oggetto che lo identificasse.
Se una persona si ritrova a questo punto, c’è da chiedersi, ha veramente vissuto?
Il vostro è uno spettacolo muto. Dove nasce l’esigenza di eliminare il linguaggio verbale?
Homologia è il monologo interiore di un vecchio con se stesso ma mediato attraverso gli oggetti. Il suo dialogo con le cose avviene attraverso l’interazione con le cose stesse. Nessuno di noi l’ha mai immaginato parlare perché il silenzio dopo un po’ riesce ad acquisire un peso diverso.
L’unica cosa che si sente è la pubblicità della radio e quella tv perché spesso sono proprio gli anziani quelli che più le ascoltano , nella suggestione di non essere soli in casa.
Il protagonista indossa la maschera per tutto lo spettacolo, perché questa scelta?
Il paradosso della maschera è che ha un’unica espressione.
In particolare la nostra perché non è una maschera costruita sul volto e non è nemmeno molto espressiva. L’idea era renderla espressiva attraverso le azioni che compie il personaggio giocando col paradosso del giovane che è umano ma in realtà è finto. E lui che potrebbe esprimersi con tutte le espressioni del mondo non ne fa nemmeno una. Sembra che la maschera del vecchio veda nel suo volto reale di carne di non essere capace ad esprimersi.
Il burattino che improvvisamente appare sulla scena, che cosa incarna?
Tutto lo spettacolo ruota attorno al personaggio che cerca di ridare vita agli oggetti che trova in casa e attraverso essi cerca di ridare vita a sé stesso.
Ma ogni tentativo risulta fallimentare. Quando arriva il burattino finalmente succede qualcosa.
Il burattino in sé non è niente, però se ad esso colleghi la voglia del personaggio di provare a vivere la vita che non ha vissuto, può nascere qualcosa.
Il paradosso è che ci sono due soggetti che si prendono cura della marionetta, ma in realtà si tratta dello stesso protagonista, così come il paradosso della festa per cui non puoi festeggiarti se non in due.
Questo bisogno di cura e attenzione da parte di un altro è ciò che probabilmente fa prendere coscienza al vecchio di non essere da solo.
Un individuo non è mai monolitico, il soggetto è sempre plurale in funzione delle relazioni con gli altri.
Per noi la questione importante era di raccontare la miseria di un vecchio e allo stesso tempo mostrare che un scatto è possibile, riuscendo a far convivere queste due condizioni contrastanti. Riuscire a dare la gravità e al contempo la leggerezza.
Cosa spinge una compagnia under 30 ad affrontare il tema della vecchiaia?
La sensazione di vuoto e di stasi è una condizione che va oltre l’età.
Ci sono momenti in cui un uomo sente questa sensazione senza avere necessariamente settant’anni. Ognuno di noi aveva un motivo personale per volere indagare il proprio rapporto con la vecchiaia privatamente.
Inoltre, l’incontro fortuito con la maschera che usiamo per lo spettacolo ci ha incuriosito e spinto a provare a lavorare con un oggetto di poco valore.
Questa serie di coincidenze ha portato ad interrogarci intorno all’essenza della vecchiaia. La vecchiaia rapportata all’urgenza di una scelta da fare ogni giorno per poter decidere della propria vita e a chiederci quanto realmente agisci e quanto vieni agito da ciò che ti sta intorno.
L’intervista è a cura di Imma Amitrano e Eduardo Borzi