Recensione: “Un po’ di più. L’esatta misura dell’amore”
Non significa niente per voi, essere la festa di qualcuno?
(Roland Barthes, Frammenti di un discorso amoroso)
È il 1980 quando, in una piccola sala del Filmstudio di Amsterdam, Marina Abramović e il compagno Ulay realizzano quella che entrambi ricorderanno come la performance più rischiosa della loro vita, Rest / Energy. Per quattro minuti i due artisti-amanti si fronteggiano, lei sorregge un grande arco, lui una freccia che punta dritta al cuore. Per quattro minuti resistono in questa condizione di totale precarietà e vulnerabilità, regalandoci una suggestiva metafora della condizione amorosa. L’altro è il mio equilibrio e colui che può ferirmi a morte – sembrano suggerirci gli artisti – ma senza questo totale affidamento, senza questa disponibilità a lasciarsi ferire, nessuna relazione sarebbe possibile.
Tale dialettica tra precarietà ed equilibrio caratterizza in pieno anche lo spettacolo Un po’ di più di Bernabéu / Covello, già vincitore del Premio della Critica al Roma Fringe Festival e andato in scena domenica 21 luglio all’interno della rassegna Direction Under 30 2019. Pur avendo formazioni differenti – Lorenzo Covello proviene dal mondo del circo e del mimo corporeo, Zoe Bernabéu ha studiato al Conservatorio Nazionale di Parigi – i due attori-danzatori riescono a dar vita a un’opera intima e originale che mescola teatro fisico e danza contemporanea, un’opera che appare come uno studio sulla relazione amorosa.
Lei compare in scena per prima, camminando sui frammenti di una sedia disseminati sul palco, misurando ogni passo, conquistando ogni centimetro di spazio. Poco dopo lui percorre lo stesso tragitto, raccogliendo i frammenti e ricomponendoli nella sedia, ma nessuna stabilità è più possibile, ora che l’incontro con l’altro è avvenuto. L’atto di sedersi, così semplice e così abitudinario, diviene un piccolo momento di conflitto, in cui sperimentare la precarietà della propria condizione. Posti l’uno accanto all’altra, frontali al pubblico, i due attori si muovono sulle sedie come acrobati incerti o come bambini che devono imparare ogni cosa per la prima volta. Due entità distinte che pian piano si avvicinano, innescando una relazione che, partendo da sfioramenti, contatti lievi, conversazioni solo accennate, diviene sempre più complessa, fino a conquistare l’intero spazio scenico. I loro corpi giocano, lottano e si rincorrono, si affidano l’uno all’altra nella continua ricerca di un equilibrio mai definitivo, ma sempre in evoluzione, sempre sul punto di crollare.
I due attori creano una partitura fatta di gesti e parole quotidiani che, soprattutto nella prima parte dello spettacolo, vengono ripetuti fino a creare un senso di familiarità domestica. Un tavolo apparecchiato, posto su un cavalletto, occupa il centro della scena, e appena i due attori lo sfiorano oscilla pericolosamente da una parte e dall’altra, come una bilancia imperfetta o la pedana di un parco giochi. Proprio il tavolo scandisce la precarietà del loro rapporto, è insieme punto d’incontro e campo di battaglia, un centro magnetico attorno cui i due corpi orbitano come pianeti, sfiorandosi e allontanandosi di continuo, cercando letteralmente la giusta distanza a cui è possibile incontrarsi senza ferirsi. Il movimento di Bernabéu e Covello è contraddistinto dall’eleganza e da una indubbia capacità tecnica che allude talvolta al mimo e ad alcuni espedienti della slapstick comedy, rimanendo sempre ben focalizzato su quel che si vuole raccontare e senza scadere nel virtuosismo.
L’ironia e la leggerezza – che è poi la vera cifra dello spettacolo – emergono soprattutto nei brevi momenti recitati. In un monologo alternato riusciamo a mettere a fuoco i due personaggi, scopriamo che a Zoe piace fare tutto «un po’ di più»: al mattino le piace restare a letto un po’ di più, vuole saltare un po’ più in alto, è curiosa e instancabile e desidera sempre un po’ più di zucchero nel caffè. Se c’è qualcosa che Lorenzo ama molto, invece, «è fare niente, a volte un po’ meno di niente»; contempla i passanti, gli aeroplani, si chiede cosa sarebbe successo se avesse vissuto in un’altra epoca. È nella compensazione reale e simbolica di queste due attitudini, nello sforzo quotidiano d’instaurare una relazione autentica, di dosare necessità e desideri, che risiede il cuore dello spettacolo. In altri momenti, le lingue dei due performer, francese e italiano, si sovrappongono, come nel gioco «m’ama, non m’ama» che in francese diviene «un peu, beacoup, passionnément, à la folie, pas du tout». Il discorso amoroso per Bernabéu e Covello è un alfabeto quotidiano fatto di gesti ordinari, giochi e incomprensioni, in cui siamo bambini e adulti insieme.
L’unione, il pieno incontro con l’altro, si raggiunge nel movimento continuo, è uno spazio da plasmare e ricreare continuamente. Amarsi, ci suggeriscono i due performer, è misurare il vuoto che ci separa, e la quotidianità non è altro che lo sforzo costante di tracciare e ridiscutere i confini tra noi e l’altra persona.
In una messinscena caratterizzata dall’essenzialità e dall’eleganza, l’unico elemento d’ingenuità risiede forse nella scelta delle musiche, che talvolta sembra voler sottolineare una tenerezza già perfettamente incarnata nelle azioni sceniche. Ma nel complesso lo spettacolo risulta così efficace e così calibrato che la sensazione è quella di partecipare a un affresco commovente delle nostre relazioni quotidiane. Nell’instabilità e nell’incertezza che contraddistingue le nostre esistenze, l’invito dei due artisti è cedere peso e affidarsi a ciò che ci accade, sperimentando cadute e disequilibri: «iniziamo a giocare, provando a vincere davvero».
Questo spettacolo ha vinto il Premio delle Giurie di Direction Under 30 (2019)
Giulia Oglialoro
Visto al Teatro Sociale di Gualtieri il 21.07.2019