Recensione: “Mai sopra un albero”
C’è un’ora precisa della notte, tra la notte e l’alba, in cui – racconta Bergman nel suo film L’ora del lupo – «il sonno diventa più profondo e, quando gli incubi ci assalgono, se restiamo svegli abbiamo paura». La scrittrice Simona Vinci, nel suo ultimo racconto autobiografico Parla, mia paura (Einaudi, 2017), parte proprio da questa citazione del regista svedese e dal ricordo dei suoi attacchi di panico notturni per introdurre il lettore al racconto, quasi una “confessione”, della sua lunga esperienza di depressione. Con «il mondo visibile precipitato nel nulla» – scrive la Vinci – era solito presentarsi, sempre alla stessa ora della notte, un senso di vuoto, che d’improvviso squarciava il sonno per fagocitare la mente e consumare il corpo. Un tempo sospeso in cui i pensieri si coagulano l’un l’altro con forza, amplificati nello spazio della propria solitudine e finendo per assumere forme, tensioni, direzioni imprevedibili.
Claudia Rossi Valli, danzatrice e fondatrice, insieme a Tommaso Monza, della Compagnia Natiscalzi DT, nel suo spettacolo di teatro danza Tutto il Sole di Oggi – andato in scena in prima nazionale domenica 21 luglio in chiusura di Direction Under 30 – porta in scena un racconto corale, e in parte autobiografico, sul tema del Trattamento Sanitario Obbligatorio, che a sua volta sembra condurre verso una riflessione più ampia sui concetti di “prigione” e “evasione”, tanto mentale quanto fisica e sociale. Curiosamente anche questo spettacolo inizia con una scena che si potrebbe dire “notturna”: nella penombra del palcoscenico tre ventilatori, su ognuno dei quali è montata un torcia accesa, muovono l’aria rivolti verso la danzatrice, che si trova accovacciata su una sedia. Vediamo il corpo seminudo di Rossi Valli prendere vita dal buio, mentre una straniante melodia di carillon ne scandisce il tempo: lentamente si appropria dello spazio che lo circonda, esplorandone i limiti con allungamenti e torsioni che sembrano disegnare figure geometriche e distorte, a tratti metafisiche, perturbanti. Anche qui, così, assistiamo alla nascita di forme e pensieri nell’intimità della notte, materia narrativa che subito si traduce nel racconto delle vite di alcuni pazienti del reparto di psichiatria dove, per qualche tempo, è stata in degenza la stessa danzatrice. La scenografia difatti allude seppur vagamente alla ricostruzione di un ambiente ospedaliero: i ventilatori, un appendino per i vestiti e un grande schermo bianco autoportante, che di volta in volta viene spostato per svolgere diverse funzioni, da parete della camera dell’ospedale, a schermo per proiezioni. Al prologo segue quindi una narrazione per quadri che, scandita dalla lettura registrata (Miryam Chilà) delle vere pagine del diario della danzatrice, compone i singoli ritratti di Renata, Beppe, Roberto, Alfio. Di queste “creature”, persone che a causa di disturbi mentali sono soggette a TSO, Rossi Valli cerca di mostrare non tanto gli effetti tragici e devastanti della malattia, quanto le sfaccettature più intime della loro personalità e della loro storia. I movimenti quindi, dando di volta in volta voce a desideri, memorie, tensioni psicologiche diverse, alternano in scena coreografie più dichiaratamente pop, molto gestuali e istintive, ad altre più formali dove la tensione si allenta per dar posto a un disegno più classico.
La drammaturgia che sottende questo lavoro risulta, però, debole: sia nella composizione delle sequenze danzate, incastrate tra loro secondo una sintassi troppo scarna, ridotta a un’elementarità che non affonda con efficacia nella complessità del tema proposto; sia nella relazione, piuttosto didascalica, che unisce la cornice testuale – il diario che illustra gli incontri e le relazioni con i personaggi – e l’immagine scenica dei movimenti. Il linguaggio coreografico risulta infatti incapace, a tratti, di trasfigurare un materiale così privato e autobiografico, come la scrittura diaristica, in oggetto artistico, dal quale consegue di fatto una superficiale restituzione psicologica dei personaggi. D’altro canto più efficace sembra l’uso che viene fatto dello spazio in scena. Questo infatti muta continuamente non solo in risonanza alle diverse personalità dei personaggi ma anche rispetto ai limiti stessi della scena: Rossi Valli, sfruttando la particolare struttura “a rovescio” del teatro di Gualtieri, arriva infatti a occupare il palchetto centrale del primo ordine per intonare, quasi a mo’ di comizio, Dotti medici e sapienti di Edoardo Bennato. Il filo sottile dell’ironia attraversa in realtà un po’ tutto lo spettacolo con l’intento di sdrammatizzare il dolore e la vergogna di una solitudine, psicologica e sociale, di continuo rovesciate nel loro opposto: nell’inevitabile tensione alla vita. Un movimento centrifugo, questo dell’umorismo, suggellato dalla proiezione in scena di un monologo di Gaber sul suicidio, al quale fa da pendant una coreografia di Rossi Valli che letteralmente “dialoga” con l’attore milanese.
Tutto il Sole di Oggi è uno spettacolo sul TSO che, al di là dei limiti linguistici e formali, ha il merito di mettere in scena la malattia, ponendosi l’obbiettivo di evaderla, dirottandola, come ci suggerisce lo stesso anagramma del titolo, verso un paesaggio aperto e luminoso che non vuole imprigionare i suoi personaggi entro i confini della propria patologia ma restituire loro una dimensione altra. Claudia Rossi Valli, scavando con coraggio in avvenimenti difficili della sua vita, ci porta a ritroso nella sua memoria, raccontandola con uno sguardo obliquo, vestendo cioè “i panni degli altri”, i panni di quelle persone con cui ha condiviso un tempo e uno spazio, sospeso, sottratto. Un luogo metaforico, quello della malattia, che se guardato al di là dei pregiudizi e sotto la lente della relazione umana si rivela essere incubatrice di un forte e dirompente desiderio di libertà.
Vittoria Majorana
Visto al Teatro Sociale di Gualtieri il 21.07.2019