Recensione: “Mary’s bath”
L’iconografia mariana a bagno nel pop
Per il secondo anno consecutivo Claudia Rossi Valli torna a Direction Under 30 del Teatro Sociale di Gualtieri. Lo fa con Mary’s bath e facendosi affiancare dai danzatori Tommaso Monza e Ludovica Messina.
Pare che il processo creativo della compagnia Natiscalzi DT riguardi la ciclica ripresa dei propri studi che, una volta sedimentati, possono essere rielaborati. Era successo con Tutto il Sole di Oggi, studio intrapreso nel 2017 e portato in scena nel 2019, e riaccade per Mary’s bath, la cui genesi è altrettanto lontana nel tempo. Nasce infatti nel 2015 come spettacolo site-specific all’interno di una piccola chiesetta sconsacrata e di cui gli unici interpreti erano gli stessi fondatori della compagnia, Rossi Valli e Monza.
Il passato di lui da studente dell’Accademia di Belle Arti e l’incontro reciproco all’interno di Abbondanza/Bertoni sono elementi ben visibili fin dal primo atto in cui, sulle note del coro de “L’infanzia di Maria” di De André, Ludovica Messina entra in scena. Illuminato da un forte chiaroscuro, il corpo di neve di Maria è quello di una ragazza che, forse ignara della propria sensualità, attira gli sguardi del goffo Gabriele. Sembrerebbe quasi blasfemo, il rapporto che si viene a instaurare inizialmente tra Maria e l’Angelo, ma Mary’s bath non parla mai di religione. È solo un divertissement, uno studio intorno all’iconografia mariana, in cui il tema dell’Annunciazione diventa espediente di un racconto autobiografico, quello della maternità di Rossi Valli. Se la rappresentazione della madre per eccellenza viene quindi trasfigurata attraverso l’uso di una lente pop, questa “popizzazione” del tema da una parte permette di creare un linguaggio universale, dall’altra però con il suo carattere eccessivamente didascalico blocca la creazione di un immaginario che vada al di là delle singole scene.
Nello studio di Rossi Valli e Monza infatti convive un duplice utilizzo degli elementi di scena: è didascalico, ad esempio, quando vengono proiettate le fonti iconografiche riprese durante lo spettacolo; si fa interessante invece quando manifesta un carattere propriamente artigianale ― mi riferisco in particolare alla relazione inaspettata tra le superfici specchianti e lo spazio teatrale. A rendere la fruizione dello spettacolo discontinua collabora anche una suddivisione netta della danza, declinata in tre atmosfere diverse. Una rappresentazione eterea di Maria apre lo spettacolo: Messina, quasi ninfa pagana dai lunghi capelli ramati, incanta con la sua danza l’Arcangelo Gabriele, che dall’alto la spia. Nella seconda sezione, mentre i movimenti di lei si fanno ferini e convulsi, i ruoli di potere si invertono: Maria diventa oggetto passivo delle attenzioni dell’Angelo, viene vestita di un velo e un manto sterminato, per poi essere illuminata da un occhio di bue sempre più incombente. Coglie infine di sorpresa l’avvento sul palco della coreografa e danzatrice Claudia Rossi Valli che, in avanzato stato di gravidanza, sostituisce Messina nel ruolo di Maria. La manifestazione palese della maternità intende oltrepassare il gioco intellettuale, squadernato durante tutto lo spettacolo, e contemporaneamente materializzarlo. Questo cambio di registro avrebbe voluto investire con la sua energia lo spettatore, ma riesce, suo malgrado, per il carattere repentino, soltanto a lasciarlo interdetto. Dopo tanti brani pop, infatti Mary’s bath tenta di avvicinare lo spettatore a livello emotivo, ma l’esibizione della maternità non fa che mettere in luce il distacco incolmabile tra vita e palco, tra realtà e finzione intellettuale.
Eva Olcese
Visto al Teatro Sociale di Gualtieri il 29.08.2020