Recensione “Anatomia di un fiore – Identità indefinibili”
Anatomia di un fiore, ultimo spettacolo della nona edizione di Direction Under 30, porta in scena il complesso tema dell’identità e della difficoltà di definizione dell’Io.
Valeria Wandja e Yonas Aregay scelgono una cornice essenziale, senza grandi impalcature sceniche: un parquet scarno, ricoperto da frammenti di prato sintetico, e un microfono solitario sono infatti gli unici elementi di contorno a un dialogo-non-dialogo, in cui storia personale e narrazione collettiva si confondono. Un’illuminazione semplice, alternata a barlumi fiochi, crea un’atmosfera di sospensione, mentre il viola e l’arancione degli abiti provoca un forte impatto visivo.
Entrando a teatro, i due performer sono già sul palco e si muovono come anime indipendenti, convergenti e divergenti nello stesso tempo. Lei canticchia («lo sai che i papaveri, sono alti, alti, alti..»), lui interroga gli spettatori con domande sul quotidiano («cosa hai fatto oggi, cosa fai domani, che hai mangiato?»), rendendo il pubblico partecipe di una ricerca introspettiva che trova nel racconto delle proprie origini la chiave di accesso: Yonas e Valeria nascono a Roma, rispettivamente nel 1992 e nel 1998, da genitori stranieri. La loro è un’identità contaminata, che sfugge a ogni categorizzazione, rendendo quasi impossibile definirsi. Una storia comune a molti, che comporta il tormento dell’Io incapace di affermarsi, desideroso di rivendicare la propria fluidità ma sempre ostacolato dall’obbligo – proveniente dall’esterno – di contornarsi. Un tema complesso, che sfocia, nelle parole e nei gesti dei due attori, anche nella tematica di genere, resa manifesta dallo scambio di abiti. L’accettazione dell’indefinizione diviene un traguardo quasi irraggiungibile. Tra un’enunciazione diretta, un grido, un ballo isterico, si inserisce a gran voce l’elenco dei nuclei identitari implicati in ogni esistenza, per tentare di far ordine al caos: individuazione, intesa come ricerca continua di definizione; desiderio, come slancio verso la scoperta; avvicinamento, come condizione indispensabile nel percorso di crescita dell’individuo; strappo, come azione essenziale alla costruzione di un Sé indipendente.
Se da un punto di vista della messinscena lo spettacolo può apparire delicato e ordinato, il testo risulta dai contorni appena accennati, povero di un’analisi di sottolivello inedita e puntuale sul tema trattato. La frammentazione dell’arco poetico sembra non coagulare in un concetto forte e riconoscibile, che si assuma la responsabilità di condurre lo spettatore su terreni scivolosi, capaci di scuotere e plasmare; sceglie, al contrario, una linea generalista, meno rischiosa. Viene da chiedersi, inoltre, se il tema dell’identità debba necessariamente sfociare anche nella rappresentazione dell’identità di genere; o ancora e se la fluidità possa essere esibita secondo formule non stereotipate. Il costume e il maquillage sono gli unici plausibili simboli di demarcazione dell’io che escludono la necessità di verbalizzazione? Lo scambio di vestiti atto a assottigliare il confine tra il maschile e il femminile, è l’unico repertorio simbolico a cui è possibile fare riferimento?
Il quadro scenico è tuttavia godibile: Valeria e Yonas, (recitativamente più presente e centrata la prima, leggermente più adombrato e incerto il secondo) stabiliscono una buona relazione con lo spazio e con gli oggetti, compensando, in parte, la poca robustezza drammatica. Interessante in tal senso il ruolo del microfono: parlandovi attraverso, l’attrice racconta in prima persona la discriminazione a cui Yonas è stato soggetto in età infantile nel contesto scolastico e, in un secondo momento, interroga il suo co-protagonista sulla propria ‘origine’, non considerando accettabile nessuna risposta fornita. Il microfono ha il potere di coprire qualsiasi voce, di vanificare la fatica che deriva dalla lotta per la parità e l’inclusione, di inibire e mortificare lo slancio verso l’integrazione. Nel complesso Anatomia di un fiore si presenta come un progetto delicato e onesto nella sua intenzione, pur lasciando insolute ancora molte questioni da esplorare e terreni fertili da seminare.
Marta Anna Bertuna