Long-Form: “Riconoscersi nella frammentazione (senza nulla promettere alle categorie)”
Nella frenesia del festival, a Gualtieri si aprono zone franche di incontro.
Il momento di una sigaretta o di un caffè diventa spazio informale in cui ci si concede il tempo di riflettere collettivamente sulle grandi domande che attraversano la scena teatrale contemporanea e su come queste risuonano nelle individualità che abitano il festival.
«Non saprei dire se esiste una nuova generazione, vedo gruppi interessanti, vedo registi interessanti, però sembrano singole cose, fragili, troppo fragili. […] Mi sembra tutto frammentato». Così il critico teatrale Renato Palazzi, in occasione della presentazione del primo numero de “La Falena” a Prato nel 2020, concepisce la scena contemporanea come narrazione personale e non collettiva.
Queste parole ci hanno da subito calate nel contesto della scrittura e della visione critica, facendo da apripista alle nostre suggestioni e alle ipotesi di narrazione. Ci colpisce il concetto di frammentazione lanciato da Palazzi come lente con cui guardare alla scena teatrale odierna, e decidiamo di adottarlo come metodo di indagine a partire proprio da quel che accade qui a Gualtieri.
Per tentare un’esplorazione di questa frammentarietà, abbiamo pensato di dialogare con attori, registi, componenti della giuria e cittadini di Gualtieri per capire se effettivamente tale senso di parcellizzazione risultasse un’impressione comune. Abbiamo posto alcune domande riguardo la mancanza di spazi e pratiche di condivisione nel teatro contemporaneo e dialogato in merito alla conseguente assenza di legami tra le varie realtà che forse insieme potrebbero invece creare una narrazione collettiva e un senso di appartenenza. A caccia di visioni, abbiamo infine chiesto ai partecipanti al festival di procedere per suggestione e per libera associazione: quale immagine ti viene in mente quando si parla di frammentarietà? Che forma, colore, consistenza ha?
Partendo proprio da qui, come custodi di pezzi e di frammenti, iniziamo a ricucire: creiamo dittici di immagini e parole per provare a ricomporre un paesaggio comune di narrazioni e di incontro.
1) Silenzio – «a questa festa dovrebbe esserci la musica ma non c’è»
Quante varianti di silenzio siamo in grado di generare? A quali lacerazioni e strappi, brusche interruzioni fanno seguito? In quale tana sprofondano? Quali detriti trasportano sul bagnasciuga? Di quale assenza, mancanza mitica ci parlano?
Come cerchi concentrici, le domande si scollano da confini predefiniti e si espandono a partire dalla suggestione di Sara che, all’invito lanciato, risponde decisa: «Se io penso alla frammentazione, mi viene in mente un silenzio, che non è da intendere come una pausa tra due note. È un silenzio in cui manca la musica. Come quando sei ad una festa e pensi che dovrebbe esserci la musica ma non c’è». Silenzio come interstizio franoso, come spazio abitato e poi abbandonato, come parete porosa che trattiene l’eco di una musica ancestrale. La voce di Laura si aggancia per concatenazione, infrangendo una quiete elettrica: «Uno deve tornare sempre al motivo originario». Abbiamo preso alla lettera la sua proposta per attraversare e indagare quella distanza siderale, quell’incomunicabilità spaesante di cui facciamo esperienza dentro e fuori dal teatro. Ontologia di un silenzio sistemico che ammutolisce i desideri, che atrofizza le parole, che ci rende residui di continenti naufragati.
Seppur parcellizzati e finiti come generazione di teatranti e non, qui a Gualtieri si profila in sottofondo un rammarico feroce: la rabbiosa consapevolezza di essere stati sottratti «all’originale purezza del teatro, che è incontro, scambio», contaminazione e contatto aperto. Fumoso si insinua il sospetto di poter essere esposti al tradimento, alla vertigine data del senso di perdita e di mancata appartenenza perché fagocitati da un sistema culturale accelerato e divisivo che ci vuole performativi e competitivi, distratti e disincantati come telefoni senza fili che continuano a lanciarsi segnali in un circuito chiuso, frenetico e disonesto. E se un suono metallico riuscisse a disinnescare i meccanismi di controllo e a rifugiarsi in uno spazio nuovo di prossimità e di incontro? Sara intravede una reale possibilità di bucare le fitte maglie del sistema: aprendosi, «facendo cadere le barriere e i limiti tra compagnie teatrali, contaminandosi liberamente» con immaginari e panorami altri da se stessi. Esercitando lo sguardo reciproco, re-imparando a osservarci e nutrirci delle reciproche visioni, praticando alleanze artistiche solidali, si può forse sostituire il paradigma competitivo, mercificatore e macchinoso che vige nell’ambito culturale e teatrale.
«Bruciare il quartier generale», mi suggerisce Diego tra un bicchiere di Spergola e una sigaretta, e poi ricominciare.
2) Ghiaccio sciolto – «spazio in cui sentirsi al sicuro, accolti»
Il rassicurante mondo della categorizzazione in generazioni teatrali che potevano esserci fino a qualche decennio addietro, assumerebbe, forse, nell’immaginario degli stadi materici, la forma di leghe metalliche che idealmente mettono in ordine e danno un senso, un tempo e uno spazio, un nome e un cognome, ai linguaggi e alle scelte teatrali di quell’epoca.
Alla suggestione visiva del concetto di frammentazione, Valeria propone «ghiaccio che si scioglie». Si approda così allo stadio liquido, anche fluido, della materia e in particolare dell’acqua. La modernità, suggerisce il sociologo e filosofo Zygmunt Bauman, è liquida in quanto concepita dal e nel movimento. Tutto si muove, tutto cambia, ogni confine può nichilisticamente sciuparsi. Come donare all’incertezza, alla frammentarietà, un insieme accogliente in cui poter stare come in una tavolozza di colori?
Il ghiaccio sottoposto a calore si scioglie e così i suoi legami perdono di rigidità. Nel perdere di rigidità, però, tali connessioni assumono la capacità di disporsi su tutta la superficie riempiendola, abitandola.
A Gualtieri il calore è abbastanza da permettere al ghiaccio di sciogliersi, ai frammenti di assumere una nuova forma, disponendosi in un nuovo, seppur temporaneo, spazio di ricerca. Attorno alle giovani proposte del teatro contemporaneo c’è il modo di costruire un luogo che consenta la possibilità e la libertà di fare rete, comunità, di creare legami tra frammenti?
La forza di Gualtieri, ci conferma Diego, sta nella prossimità: tutto accade e può accadere sotto quei portici. Sara aggiunge che qui, lontani dai grandi centri e dalle nostre provenienze, si ha la possibilità per gli artisti, e per chiunque abiti il festival, di conoscersi e già percepire un legame forte «una comune intenzione politica: scelgo di essere qui e provare a pensare a qualcosa di diverso».
Lo spazio caldo e sicuro permette alla collettività di crearsi, di disporsi in esso e, se si vuole, di consolidare i legami in tempi e spazi anche diversi, anche senza nulla promettere alle categorie.
3) Collage- «Qui è bello stare perché si permette agli individui, ai frammenti, di incontrarsi»
Ma cosa succede se la frammentazione constatata si compatta, grazie a centri aggreganti e pratiche di ascolto? Cosa genera quest’operazione di ricomposizione che Gualtieri opera?
Probabilmente fioriscono individualità ma in un terreno comune. Immagini concluse in sé, si accostano, si sovrappongono riscrivendo significati inediti. La frammentarietà acquista forza nel momento in cui è condivisa ed empaticamente riscritta. Questo diviene metafora di fertile contaminazione, ed è ciò che avviene in questa edizione, dove infatti sono stati selezionati spettacoli che appartengono a generi e forme teatrali diverse. Possono essere messe in dialogo o influenzarsi reciprocamente, o magari anche no, ma inevitabilmente entrano in contatto. La non obbligatorietà di questo scambio lascia agli artisti che qui si incontrano la libertà di ricercare i propri riferimenti, di creare rete e terreno comune. Come sottolinea Yonas, che con le sue parole pone l’attenzione su un aspetto fondamentale: una generazione artistica e teatrale troppo radicata e coesa nel proprio territorio e nelle proprie pratiche genera visioni troppo miopi. La fluidità, la frammentarietà, il continuo cambiamento sono i pregi di quest’epoca. Rivendica inoltre la totale spontaneità di questo processo, i frammenti sono lasciati liberi di incontrarsi ma non sono obbligati. La suggestione di Palazzi da cui siamo partite viene accolta da Laura, che però l’arricchisce di valore positivo: la mancanza di un’identità comune a tutti i nuclei teatrali non è per forza un male; anzi, potrebbe risultare avvilente se non riesce a potenziare le individualità, che per prima cosa devono essere riconosciute per poi inscriversi in un contesto collettivo.
Queste considerazioni ci portano a ridefinire il concetto di frammentarietà denotato da Palazzi, e a darne una luce più positiva. Essa non è necessariamente fragilità ma anzi generatrice di nuovi significati e associazioni. Può essere paragonata a un collage. Collage come narrazione corale di immagini, frammentarietà risanata o almeno risemantizzata.
Per poi ricominciare…
«Qui a Gualtieri succede che gli artisti si conoscono, iniziano a seguirsi, e non è più soltanto una competizione ma piuttosto si apre la possibilità di un dialogo più orizzontale», di sfuggire alla pressione di incasellarsi in generi (teatrali e non) e alle aspettative opprimenti. Dai luoghi di prossimità, dalle colazioni condivise prima del debutto, dagli spazi extra–ordinari dove potersi riconoscere, dove potersi riappropriare di un tempo lento di dedizione, ascolto e comune visione.
Niccolò si guarda attorno: «l’incontro potrebbe essere davvero il punto di partenza per poter risanare il sistema, ricucire la frammentazione che sentiamo».
E ora Gualtieri ci sembra disegnarsi attorno alle nostre parole come una casa pulita, illuminata bene, come una circonferenza aperta in cui sperimentare ostinati tentativi di riavvicinamento, coraggiosi slanci verso gli altri per annusarsi e smettere di abbaiare. La Panacea di tutti i mali è la vicinanza.
di Giulia Damiano, Ivana Damiano, Silvia Mastrangelo
Credits:
Diego è Diego Rosa – Fioregnameria di Gualtieri
Laura è Laura Nardinocchi- compagnia Nardinocchi/Matcovich
Niccolò è Niccolò Matcovich – compagnia Nardinocchi/Matcovich
Sara è Sara Barbieri – gruppo di coordinamento di Direction Under 30
Valeria è Valeria Wandja – attrice in Anatomia di un fiore
Yonas è Yonas Aregay – attore in Anatomia di un fiore