Il Teatro Sociale di Gualtieri
dal 1634 al 2005
La storia
Il Teatro Sociale di Gualtieri
dal 1634 al 2005
Il Teatro di Gualtieri sorge all’interno del monumentale complesso di Palazzo Bentivoglio, grande fortezza-palazzo, sorta tra la fine del 1500 e l’inizio del 1600 per volere di Cornelio Bentivoglio e del figlio Ippolito.
Gualtieri e Palazzo Bentivoglio
Palazzo Bentivoglio spicca nel piccolo centro storico di Gualtieri con mole monumentale e appare addirittura fuori scala rispetto al resto dell’abitato. Per certi versi lo si potrebbe guardare come una seicentesca “cattedrale nel deserto”, anche se per la storia da cui origina potrebbe essere più appropriato considerarlo una monumentale fortezza nella palude.
Le origini del Palazzo risalgono infatti all’arrivo a Gualtieri di Cornelio Bentivoglio, inviato “in missione” da Alfonso II d’Este negli anni ’60 del Cinquecento. Il compito affidato a Cornelio è quello di risolvere i problemi legati alla bonifica del territorio, in un periodo storico in cui frequenti inondazioni e un aumento demografico inaspettato rendono urgente il recupero dei terreni a coltivo.
Cornelio Bentivoglio si infeuda a Gualtieri il 24 luglio del 1567 e mette in campo una serie di grandi opere di arginatura dei torrenti (in particolare il Crostolo che viene fatto sfociare in Po) e di risistemazione coerente e organica dei sistemi di bonifica precedenti.
L’opera di ingegneria idraulica in assoluto più importante che viene attribuita a Cornelio è la cosiddetta “Botte Bentivoglio”, un sottopassante in muratura che permette a tutte le acque raccolte a ovest del torrente Crostolo di passare sotto al Crostolo stesso, per essere successivamente convogliate nel torrente Secchia nei pressi di Moglia.
Parallelamente alle opere di bonifica Cornelio inizia a progettare l’edificazione di un grande palazzo di corte e di una piazza monumentale. Il progetto di Cornelio sembra sia quello di portare Gualtieri e il suo territorio nella modernità del Rinascimento.
L’opera di edificazione di Palazzo Bentivoglio tuttavia non viene iniziata da Cornelio, che muore nel 1585. Sarà il figlio Ippolito a portarla avanti coinvolgendo nella progettazione Giovan Battista Aleotti, detto l’Argenta, architetto di corte degli Este. I lavori di edificazione di Palazzo Bentivoglio, e della piazza monumentale antistante ad esso, vengono portati a termine tra il 1594 e il 1600.
Dal 1600 al 1775
Il periodo aureo dei Bentivoglio si conclude già nel 1634, quando gli Estensi riprendono possesso del marchesato di Gualtieri ricompensando Enzo, secondogenito di Cornelio, attraverso l’affidamento del feudo di Scandiano. Palazzo Bentivoglio diviene possedimento secondario di feudatari non residenti che affidano ad amministratori più o meno fidati le sorti dell’edificio.
La prima metà del Settecento per Palazzo Bentivoglio rappresenta un periodo di vero e proprio declino. Il palazzo sarà alloggio di milizie durante le guerre di successione settecentesche e verrà spoliato e vandalizzato.
Le sorti del palazzo subiscono una svolta il 28 settembre 1750 quando il Consiglio Comunale decide quasi all’unanimità (14 palle bianche contro una nera soltanto) di acquistare il complesso monumentale direttamente dagli Este. La compravendita si conclude il 25 febbraio del 1751 al prezzo di 100.000 lire (moneta di Modena).
Con l’acquisto da parte dell’amministrazione locale, il palazzo perisce signorile e risorge comunale, pronto a rispondere più strettamente alle esigenze della popolazione. Solo, l’esigenza più urgente sembra sia quella di costruire dei “pennelli” frangi-corrente per arginare il pericoloso spostamento dell’alveo del fiume Po che erode l’argine maestro. Così, nello stesso 1751, vengono demoliti i tre quarti del palazzo (con ogni probabilità già parzialmente in rovina) per ricavare il materiale necessario alla costruzione dei pennelli.
Ciò che rimane del palazzo si popola a questo punto di svariate funzioni civili. Esso ospita “gli alloggi del Medico condotto, del Chirurgo e somministra i comodi per la pesa, per il Macello, per il Dazio della ferma, salina e granai per le sue moliture, e quartiere alla guardia della ferma, oltre i magazzeni inservienti ai bisogni pubblici”.
Il Palazzo, proprietà principesca oramai in disuso, tornando ai gualtieresi riprende vita. Alleggerito per tre quarti della sua mole, diviene ricettacolo delle attività più diverse. Ed è proprio su questa linea, e solo a questo punto, che dall’iniziativa dell’architetto Giovan Battista Fattori, a Gualtieri nasce il primissimo teatro.
Il primo teatrino, 1775
Il teatrino settecentesco nasce per iniziativa dell’ingegner-architetto Giovan Battista Fattori nel 1775. Fattori, messosi a capo di alcuni giovani gualtieresi appassionati delle arti sceniche, il 13 gennaio 1775 chiede alla comunità di poter costruire un piccolo teatro, avvalendosi delle camere a pian terreno di Palazzo Bentivoglio, occupate allora dal medico, e dal chirurgo.
“È già noto alla maggior parte delle Signorie Vostre Molto Illustri il nobile pensiero, in alcuni dilettanti di questa terra, di venire, cioè, alla formazione di un Piccolo Teatro. […] Nel pubblico palazzo trovasi a terreno un sito, che si riconoscerebbe adatto all’intento, e sono le due camere, una delle quali è compresa nel quartiere accordato al Signor Medico Chirurgo, e l’altra contigua goduta dal Chirurgo.”
Giovan Battista Fattori
Segue il tenore della citata Rappresentanza.
Molto Illustrissimi e Rispettabili Signori.
È già noto alla maggior parte delle Signorie Vostre Illustrissime il nobile pensiero, in cui sono alcuni Dilettanti di questa Terra di venire, cioè alla formazione di un piccolo Teatro.
Sembra qui superfluo lo spiegare qual lustro al Paese, qual vantaggio alla Gioventù, qual piacevole Divertimento per tutti recar possa tal Opera.
Si restringono però essi Dilettanti a sottoporre al giusto giudizio del rispettabile Consesso che primo il Paese istesso di quest’Opera, rendesi inferiore per questa parte a tanti altri circumvicini.
Per la più sollecita esecuzione dunque si faranno i Dilettanti premura di contribuire alla occorrente spesa col proprio; ma pare che le Signorie Vostre Illustrissime possano concorrere ad avvalorarne l’impegno col prestar loro almeno il comodo.
Nel pubblico Palazzo trovasi a terreno un sito, che si riconoscerebbe il adatto all’intento, e sono le due Camere, una delle quali è compresa nel quartiere accordato al Signor Medico, e l’altra contigua goduta dal Chirurgo; ognun de’ quali se ne può privare, senza notabile incomodo, di queste la gestione per tanto si fanno coraggio essi Dilettanti d’implorare colle commendate Vostre Signorie e ciò a semplice uso dell’ideato Teatro, e ritornato al Pubblico istesso il suo Diretto Dominio, potendosi ugualmente, quall’ora ciò faccia d’uopo, compensare i presenti loro Consessori.
Sulla speranza del felice successo, e di rispettare cioè l’implorata concessione, ossequiatamente si professano.
Dalle Signorie Vostre Molto Illustri e Rispettabili.
Gualtieri li 3 gennaio 1775
Comune di Gualtieri – Archivio Antico
Libro dei Consigli 1773 – 1778 (A12), pag. 180.
Trascrizione a cura di Gian Luca Torelli
La comunità approva l’iniziativa che ha lo scopo (dice la delibera relativa) di “impiegare la gioventù di questa giurisdizione in onesti divertimenti e per istruirla e renderla vantaggiosa e liberarla dall’ozio in certi tempi dell’anno e far nascere tra questa una profittevole emulazione.” È così che il 16 marzo l’architetto Fattori viene chiamato in consiglio perché da tecnico si occupi della progettazione e del calcolo dei costi. Il Comune stanzia 2.000 lire sul progetto, nonostante Fattori e i il gruppo di giovani appassionati di teatro si fossero offerti di contribuire personalmente alla spesa complessiva.
Cominciano i lavori. Viene abbassato il piano di calpestio del pian terreno; nei locali a sud della sala principale vengono ricavati l’atrio, la biglietteria, il caffè e un camerino; viene costruito l’alveare ligneo del doppio loggiato di palchetti ed infine viene aperto un accesso diretto sulla piazza chiuso da un grosso portone. Sorge così un piccolo teatro all’italiana in legno, con struttura a ferro di cavallo e due ordini di palchi.
Il teatro, di buona fattura barocca, doveva avere dimensioni molto inferiori rispetto a quelle attuali: la sala alta non più di sei metri, larga otto e profonda circa undici aveva volume complessivo inferiore alla metà della sala odierna. Il palcoscenico, spalle al muro, si appoggiava ad un antico scalone cinquecentesco: era largo otto metri e profondo circa sette.
Del teatrino del Fattori sino a qualche anno fa sembrava non rimanesse alcuna traccia. Nel 2011, durante i lavori di restauro del tavolato storico della platea, portati avanti dall’Associazione attraverso il progetto di recupero condiviso con la cittadinanza denominato Cantiere Aperto, sono stati intrapresi scavi per il risanamento del sottofondo della platea novecentesca, ed è stato scoperto un pavimento in cotto. La pavimentazione con ogni probabilità è riconducibile alla pavimentazione del teatrino settecentesco vista la quota ribassata alla quale è stata ritrovata, che di fatto corrisponde alla quota individuata nel rilievo del teatro effettuata dal geometra Panizzi nel 1845.
foto navigabile 360° – 2012, Cantiere Aperto, ritrovamento fondazioni del Teatro Principe
Il Teatro Sociale, 1905
Nel 1905 l’Amministrazione Comunale socialista decide di procedere alla ristrutturazione e all’ampliamento del Teatro Principe andato in fumo. Il progetto è affidato al perito Vittorio Mazzoli, mentre le decorazioni verranno eseguite da Villa di Reggio Emilia. Dopo un primo preventivo ci si rende però conto che i soldi non sono sufficienti: il Comune da solo non è in grado di affrontare l’onerosissimo intervento.
Così, 29 giugno 1905, viene fondata la Società Teatrale, costituita dai palchettisti, futuri proprietari dei palchi di primo e secondo ordine. Essa contribuisce con circa 2.000 lire alla spesa complessiva di 25.000, e si assume la gestione del Teatro, a questo punto Sociale, per 99 anni.
I lavori di ristrutturazione e ampliamento cominciano subito dopo la costituzione della Società: quel che rimane del Teatro Principe, in legno, viene completamente demolito; le pareti laterali portanti sono parzialmente abbattute per far spazio a una struttura a ferro di cavallo più larga di quella precedente; il soffitto è distrutto per permettere l’edificazione del terzo ordine; infine anche la zona del palcoscenico viene ampliata demolendo parte di uno scalone cinquecentesco, risalente ai Bentivoglio. Il teatro alla fine dei lavori risulta raddoppiato e ha una capienza intorno ai 300 posti a sedere, distribuiti su tre ordini di palchi sostenuti da esili colonnine in ghisa. Unico elemento mantenuto del Teatro Principe di Fattori è il numero di palchetti del primo e second’ordine: tredici (escluso il proscenio).
Il Teatro Sociale costruito a cultura e diletto della cittadinanza apre i battenti nell’autunno del 1907. L’articolo 16 dello Statuto della Società Teatrale dice: “il teatro è in linea di massima destinato per le sole rappresentazioni d’opere musicali drammatiche, di canto, veglioni e feste da ballo, trattenimenti di giochi di prestigio, marionette, esclusi i burattini”.
Ed infatti l’inaugurazione avviene con una stagione operistica di grande successo che mette in scena la Cavalleria rusticana di Pietro Mascagni e i Pagliacci di Ruggero Leoncavallo: 1,20 lire in platea, 0,60 in loggione. Negli anni successivi la febbrile attività del teatro vede la messa in scena della Carmen di Bizet, del Barbierie di Siviglia di Rossini, del Don Pasquale di Donizzetti e della Gioconda di Ponchielli.
Nel 1912, probabilmente in seguito al successo delle attività, si decide l’ulteriore allargamento del palcoscenico, che assume dimensioni inusitate per un teatro di provincia. Per allargare il palcoscenico si demolisce ancora: per sostenere la struttura del palazzo viene costruito un grande arco a sesto acuto, che ancor oggi regge titanicamente il tetto, rappresentando con la sua mole uno degli elementi più suggestivi del teatro stesso.
Con la Grande Guerra l’attività del teatro si ferma, ma riprende già nel 1919 e sino al 1923 si registra il periodo più vitale del Teatro Sociale con ben undici repliche della Bohème di Puccini, dell’Andrea Chènier di Umberto Giordano e della Tosca, anch’essa di Puccini. L’attività lirica cessa nel 1936, quando con la Norma di Bellini ha luogo l’ultima rappresentazione.
A fianco dell’attività lirica, il Teatro già dal 1907 ospita le feste da ballo e i veglioni organizzati da un gruppo di giovani operai che si fanno chiamare la Palanca Sbusa (il soldo bucato, cioè senza valore alcuno). La Palanca Sbusa, che per lungo tempo a capodanno e a carnevale organizza affollatissime feste, è composta da: Amedeo Alberini, detto Malghes, bracciante, capo della compagnia; Camillo Spaggiari, detto Buseca, muratore; Primo Maggiori, muratore; Costantino Moggia, muratore; Davide Califfi, detto Ciapela, custode del macello; Silvio Soliani, detto Silvion, muratore, grande oratore dialettale; Vecchi Oreste, carrettiere; Guido Bontempelli, elettricista; Feliciano Verzellesi, elettricista; Vittorio Re, detto Iupèn, operaio.
Negli anni Trenta all’attività del Teatro si affianca quella del Cinema. In loggione, con sottili tramezzi in muratura, viene ricavata la cabina di proiezione. Con l’acquisto di un grosso proiettore Fedi comincia il frenetico ronzio delle pellicole. Ben presto il Teatro di Gualtieri diviene il fulcro dell’attività teatrale e cinematografica della Bassa Reggiana, punto di riferimento per tutti i paesi vicini. Le famiglie dei palchettisti popolano il teatro, i ragazzi si amano nel buio, Antonio Ligabue rannicchiato in loggione si incanta di fronte alle figure esotiche che dalle pellicole passeranno trasfigurate sulla sua tela.
Nel 1951 il Po rompe gli argini, Gualtieri è allagata.
In Teatro l’acqua si appoggia alla balconata di prim’ordine, ancora oggi permane il segno inquietante del livello raggiunto.
Dal dopoguerra all’abbandono
L’attività del Teatro continua fiorente per tutto il dopoguerra, con concerti, spettacoli di varietà, di prosa e naturalmente con il cinema. Indimenticabili nella memoria dei gualtieresi rimangono i veglioni di Capodanno e di Carnevale. Poi, col passare degli anni, l’attività teatrale comincia a ridursi. A poco a poco il numero degli spettacoli diminuisce sino a lasciare il posto alla sola attività cinematografica. Siamo negli anni 70. Ma ben presto anche il cinema fatica a competere con il proliferare delle televisioni e il Teatro di Gualtieri vive quella fase discendente che ha vissuto ogni cinema che si rispetti: gli ultimi film proiettati in sala sono scadenti pellicole a luci rosse, di cui ancor oggi reca testimonianza il cartello VIETATO MINORI DI 18, appeso nella vecchia biglietteria.
Nel 1979 il teatro viene chiuso al pubblico per seri problemi strutturali. Cominciano a questo punto vari interventi di consolidamento della struttura tra cui la risistemazione del tetto, la cucitura delle murature e la messa in sicurezza di solai e controsoffitature. Durante gli interventi per montare i ponteggi è necessario anche rimuovere l’intero palcoscenico. L’oculata ristrutturazione dell’edificio portata avanti dall’Ingegnere Giuseppe Pecchini però, terminato il consolidamento, si blocca per la mancanza dei fondi necessari a portare a termine i lavori. I lavori si fermano, il Teatro Sociale resta chiuso.
Passano gli anni, i fondi non arrivano, forse nessuno li cerca, pian piano il teatro comincia ad essere dimenticato: i gualtieriesi cominciano a perdere coscienza di quest’ala di Palazzo Bentivoglio, che si atrofizza poco a poco anche nella memoria. Solo in pochi ricordano nostalgici l’età aurea dei veglioni, della lirica e degli amori clandestini dei palchetti, ma sui velluti intanto si va posando una polvere spessa, unici inquilini dell’edificio rimangono i piccioni. Negli anni, pur di utilizzare lo spazio in qualche modo, tra le murature dirute che sostenevano un tempo il palcoscenico viene allestito il presepe natalizio. Siamo all’ultimo atto.
Nel 2004 la Società del Teatro istituita nel 1905 per 99 anni cessa di esistere.
Il Teatro è definitivamente dimenticato. Oppure no…